REVIEW - marcominguzzi

MARCO MINGUZZI
MARCO MINGUZZI
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La fossilizzazione dell’immagine


“La richiesta di comunicazione è
presuntuosa e assolutamente
irrilevante. L’osservatore non vedrà
altro che ciò che le sue paure,
speranze o la sua istruzione gli
hanno insegnato a vedere.”
Clyfford Still

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Per un osservatore attento non è raro individuare entro la superficie di un quadro di Marco Minguzzi la
sedimentazione di resti o le tracce dell’esperienza visiva dell’uomo. Una persona che esamini
attentamente gli strati che compongono le immagini create dall’artista può scoprirvi simboli e linguaggi
che appartengono alla società contemporanea.
Questa scoperta, possibile anche a livello dilettantistico, sta a dimostrare che le immagini che
costituiscono il nostro universo visivo più celebrato si sono formate nel fondo di un mare e che eventi
sociologici posteriori le hanno trasportate nella loro posizione attuale.
Lo scopo delle fossilizzazioni d’immagini è anche questo: ricostruire, assieme all’intero albero
genealogico visivo dell’uomo, le complesse vicende che hanno visto gli uomini della società moderna
unirsi per poi dividersi, come le montagne sorgere dal mare e le stesse montagne tornare al mare sotto
forma di minuscoli detriti. Ogni pezzo d’immagine, ogni frammento fossilizzato, è una testimonianza
tangibile dell’epoca contemporanea odierna. Il lavoro dell’osservatore porta così a scoperte
imprevedibili.
Nella contemporaneità l’inizio della scomparsa di alcune forme di comunicazione da tutti gli ambienti
della società nei quali vivono gli uomini sta ad indicare che improvvisamente mutano le condizioni
sociali che ne garantiscono l’esistenza. E la scomparsa di forme di linguaggio, dominatrici incontrastate
di tutta un’epoca, consente l’affermazione di altre forme, prime fra tutte quella telematica e virtuale.
Ma il lavoro dell’osservatore non è ancora finito. Soprattutto all’origine delle nuove forme di
comunicazione e sulla loro evoluzione le ricerche artistiche attuali si vanno facendo sempre più serrate
ed ogni nuova scoperta sembra rimettere in discussione teorie che si ritenevano definitivamente
consolidate.
Le opere di Marco Minguzzi esaminano compiutamente i metodi di studio utilizzati in
quest’appassionante ricerca dell’immagine e portano alla conoscenza del pubblico, grazie a delle
composizioni estremamente visionarie, ricche di notizie e dati, e ad un apparato iconografico di tutto
valore, i risultati raggiunti in tanti anni di ricerche.
La figurazione rimane una costante nell’attività trentennale dell’artista, anche quando sembra dissociarsi
sotto i colpi di una gestione dell’immagine o ridursi ai minimi termini di una composizione
apparentemente brut, anche quando si trasforma in teatro o si emancipa dai supporti tradizionali per
applicarsi a tutto ciò cui è matericamente applicabile. In Minguzzi l’analogicum figurativo costituisce
ancora un terreno di comunicazione indispensabile a chi non voglia chiudersi nell’autismo elitario
nell’arte ad esclusiva dimensione di critico, uno strumento fondamentale nella determinazione del
rapporto fra scrittura e pittura, fra visione ed emozione, fra istinto e ragione, fra conoscenza ed
inconscio, alla ricerca di un’infanzia espressiva perduta.
Non è un caso, allora, che l’avvicinamento di Minguzzi alla tecnologia, meglio ancora alle possibilità di
comunicazione e di linguaggio che rappresenta, nasce da un’attenta osservazione della società, dove tra i
suoi individui esistono appunto nuove forme di linguaggio e comunicazione.
La poetica che emerge dalle opere di Marco Minguzzi è una ricerca sul frammento dove l’immagine
inserita nel contesto della superficie del quadro si divide sotto l’azione delle possibilità di linguaggio e di
comunicazione che coprono lo spazio e sono metafora del tempo, del nostro presente.
È una rappresentazione interamente esistenziale e dinamica, come presa di coscienza di una posizione
critica ed autocritica che diventa dialogo persistente con il risultato compositivo, grazie alla scelta di
argomenti familiari che portano verso altri percorsi, verso altri centri di attenzione ed attrazione.
Immagini quotidiane assumono valenze differenti, in una cornice visionaria capace di cogliere orizzonti
multipli imprigionando i linguaggi. Immagini che in una variante metaforica – lessicale – trasmutano in
Torre di Babele l’inutilità pratica dell’uso quotidiano delle immagini stesse, ritenute utili le quali, animate
da vita propria, si sottraggono a questa sorta di violenza passiva: è la rivolta, la reazione salvifica delle
immagini che, consapevoli del loro ruolo disarmonico, si sdoppiano, si moltiplicano nei linguaggi e nelle
forme di comunicazione, creando una situazione di caos primordiale madre primigenia di tutti gli
idiomi, dell’umano e dell’inumano.
L’immagine così costruita ed interiorizzata, è il piano di consultazione che non dà più sostegno e lascia
libere le forme di linguaggio di raggiungere il proprio fine, di adempiere questa volontà di disgregarsi
nel frammento in una confusione – o sincretismo – di chi, ricevendo il messaggio, è partecipe del senso
di disorientamento e sgomento della nostra epoca, caratterizzata dall’assenza di confini.
Il quadro nasce in seguito allo svilupparsi in parallelo dell’immagine che l’artista gestisce e che va a
comporre: da una parte sul piano visivo inserendo nel contesto un’immagine estrapolata e ripresa
dall’universo telematico o virtuale, dall’altro sul piano del linguaggio, inserendo un complesso insieme
di lettere e numeri che altro non sono che la stessa immagine visiva rappresentata con un’altra forma di
comunicazione, in questo caso, un linguaggio di programmazione elettronico. Quasi ad affermare uno
dei sette principi ermetici del Kybalion, il principio della corrispondenza: “Ciò che sta sopra è come ciò
che sta sotto”.
Marco Minguzzi si concentra nell’elaborazione di cifre iconiche, lettere dell’alfabeto e numeri in un
insieme di codici di linguaggio di programmazione, che rimandano alla subcultura tecnologica della
contemporaneità ma che rivelano anche lo sforzo nell’apprendimento, simbolo del desiderio –
dell’artista – di integrarsi e di essere capito dalla società.
Queste opere ci presentano la ricca sensibilità poetica dell’artista, che identifica la sua vita e la sua arte,
entrambe tese alla ricerca di un senso e di un significato profondi. Sono composizioni di grande forza
espressiva in cui il colore, non a caso bianco o nero, si confonde e quasi cancella il linguaggio del codice
di programmazione, tipico del suo “linguaggio visivo”. Questo viene disposto in maniera ripetitiva ed
ordinata, come una litania ossessiva, che esprime lo stato d’animo smarrito ed inquieto dell’artista, che
cerca di dare forma ed ordine alle sue angosce.
Nessuna concessione alle mode nel linguaggio di Marco Minguzzi, così sensibile alla contemporaneità.
Altrimenti perché affidare la propria anima al racconto delle immagini? Esse fanno presente il passato,
attualità il ricordo. Ed è forse questo, viste le tendenze attuali dell’arte contemporanea, il contributo più
lucido e consistente che ci abbia offerto Marco Minguzzi, assai più lungimirante di tanti suoi colleghi
abbagliati da un facile successo.


Roma, 30 Aprile 2006
Roberto Savi
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 Margini, confini, limiti, territorio, superamento, chiusura, apertura: mai come in questi ultimi anni sia sotto un profilo etico, che culturale e artistico, è stato utilizzato il termine confine inteso come limite da oltrepassare.  Ma perché questa urgenza a  superare i confini?
Perché il limite è vissuto come un ostacolo ?
Anche nell’arte il concetto di limite e confine è stato ampiamente dibattuto: la nostra la possiamo definire un età in transito. Non si vuole riproporre ovviamente una dualità tra pensiero forte/ pensiero debole, tra impegno etico/leggerezza dell’esistente, ma  proprio sulla scorta di queste considerazioni si può entrare con maggiore facilità nel mondo poetico di Carlo Ambrosoli e Marco Minguzzi, artisti distanti per formazione e percorsi biografici, ma vicini negli esisti artistici dei loro ultimi lavori, certamente legati al fare pittura nel senso più proprio del termine
Entrambi si soffermano a riflettere sulla funzione attuale della pittura e lo fanno  ripensando le strutture compositive fondamentali : affrontano il problema dall’interno, rivisitando la cornice, quale  elemento identificativo dell’oggetto- quadro.
Per Carlo Ambrosoli la cornice diventa  protagonista assoluta: non delimita uno spazio riempito, ma uno spazio vuoto. Cornici ornamentali, barocche, sensuali e mostruose che contengono,all’interno di un gioco di  détournement, di smontaggio dell’impalcatura tradizionale pittorica, elementi allusivi della realtà contemporanea: reperti bellici, tecnologici,naturali. L’artista si è smarrito nel rappresentare il consueto e si può rifugiare solo in una marginalità desueta: lo stare ai margini, tipico dell’atteggiamento esistenziale dell’artista, trova una sua più vigorosa conferma dalla dis-locazione degli  oggetti delle opere di Ambrosoli che sembrano rifugiarsi nella cornice delimitante il vuoto della tela, si affollano nel tentativo di ritrovare una specifica autonomia rappresentativa.. Per il momento sopravvivono in  un divertito gioco di nascondimenti, che consente all’artista il pretesto per continuare a dipingere.
Diversi, invece, i risultati della ricerca artistica di Marco Minguzzi, sperimentatore puro di tecniche artistiche diverse.  Il lavoro di Minguzzi, composto da una serie di opere di uguali dimensioni dal titolo Next, si forma non per  sottrazione, come in quello di Ambrosoli, ma per stratificazione:nei suoi quadri la doppia cornice apre finestre su realtà già sedimentate come finzione. Quindi finzione nella finzione. Anche qui assistiamo ad operazione di spaesamento ludico tramite il quale  il quadro, nella sua rigorosa tessitura cromatica rimanda tumultuosamente e repentinamente ad altri quadri:città, fiori, colori, oggetti fantastici diventano così  stanze di un museo immaginario alla Malraux.
Tiziana Musi
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........Clicchiamo un link a caso e casualmente scopriamo l’interessante opera di un
artista italiano che vale la pena avere,a prescindere dalle questioni economiche
di cui abbiamo parlato poco fa. Questa è la magia della rete,cambiare registro
cosi velocemente senza turbolenze o “vertigini”. Si tratta di Marco Minguzzi
un creatore con un solido percorso in Italia, e che comincia ad essere nella scena
internazionale dell’arte. A noi interessa la forza estetica delle sue immagini che
si realizzano mediante il contrasto tra il mezzo stesso ed il supporto utilizzato.
Le sue “fossilizzazioni digitali “sono un campo di interazioni di grafica, di    
fotografia, gesti e pigmenti che formano una chiave che si sforza per
liberarsi dai limiti della concezione bidimensionale della pittura e della fotografia.
Questo poetico del fragment ci porta “dal testo e dalla lettera” giocando a
elaborare un iconografia interiore che si presenta in forma di immagine,
nel senso anglosassone del termine (image).
Alejandro Villar



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Marco Minguzzi nasce a Roma nel 1952, città dove vive e lavora.
Il suo campo d'azione é essenzialmente la pittura e la grafica 3D, uno
stile nato negli ultimi anni come forma d'arte con cui si riesce a coniugare
la fotografia contemporanea alla più tradizionale pittura.
Sperimentatore di tecniche e linguaggi artistici differenti, Minguzzi
utilizza liberamente l'incisione, la tavola di legno, il graffito, il disegno
acquerellato, l'olio, come fossero strumenti più che tecniche esecutive.
Da questo si deve partire per l'analisi dell'opera di questo vivace artista
contemporaneo.
Nei suoi dipinti si scorgono tracce nascoste, appena accennate, come
fossero flash d'immagini lontane che, invece, se osservate più da vicino,
appartengono alla simbologia ed al linguaggio dell'attuale società.
La tecnica utilizzata le fa diventare dei moderni fossili, tracce, impronte,
graffi, inflitti volontariamente o lasciati inconsciamente come da
una forza invisibile, ma quanto mai reale.
Insita in queste opere, è volontà di comunicare messaggi: semplici,
chiari e ben visibili come quelli lanciati nel mare dai naufraghi dentro le bottiglie.
L'antica arte dell'iconografia e dell'iconologia qui si fa visionaria e non
è un caso che Marco Minguzzi scelga come mezzo espressivo proprio
quello della tecnologia: da essa, egli individua la nuova voce per dare
forma ai suoi "messaggi in bottiglia".
La sua ricerca, però, affonda le radici, oltre che nel terreno fertile del
nuovo mezzo grafico, anche nel passato: espliciti, risultano i riferimenti
all'ormai storico movimento surrealista, in cui le immagini si
fanno simboli e le associazioni d'idee nascono slegate e libere da qualsiasi
imposizione
Altro sottile accenno all'arte del surreale che si scorge dai suoi quadri,
è la presente costante della doppia cornice: un gioco fatto d'incastri e
scatole cinesi orchestrano in modo da ricordare quanto l'arte sia sempre
in bilico tra realtà e finzione.
La fictio però, è sfruttata da Minguzzi come un congelamento dell'istante
e dell'immagine rappresentata, in modo da spaesare l'osservatore
che ne resta conseguentemente attratto, quasi ipnotizzato.

Francesca Gianna
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Created by ACMESTUDIO17
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